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Grandi uomini Grandi sfide

L'incredibile viaggio di Shackleton Book Cover L'incredibile viaggio di Shackleton
William Grill
ISBN Edizioni

Una cosa cui ho sempre tenuto e tengo, è di incoraggiare i miei figli a ricercare, esplorare, scoprire il mondo, le società e l’uomo. Instillare la curiosità che ti porta a muoverti verso ciò che non conosci ancora. Consapevole delle sfide che ti attendono, ma deciso ad affrontarle nella consapevolezza che questo è “vivere”.
Guardare in alto, pensare in grande. Lanciare in alto i propri sogni e poi rincorrerli.
. C’è un mondo da esplorare al di là dei nostri orizzonti quotidiani, oltre le nostre abitudini. Montagne da scalare, oceani da navigare, deserti da attraversare, fiumi da risalire, foreste in cui addentrasi e distese di ghiaccio su cui scivolare. AAAh (respiro profondo e ampio …) fantastico!
Dite che mi sono fatto prendere la mano? Eppure ci sono storie capaci di far brillare gli occhi ad ascoltarle. Da far brillare gli occhi e muovere desideri. Da far brillare gli occhi, muovere desideri e sognare futuri possibili.
Parafrasando una famosa frase di un famoso film: E’ il fascino delle grandi sfide bellezza! La grandi sfide! E tu non ci puoi far niente! Niente!

Questa tempesta di emozioni e fantasticherie è ciò che ci è capitato leggendo questo bellissimo albo illustrato:

L’incredibile viaggio di Shackleton di William Grill, ISBN Edizioni

che narra le avventure, o meglio disavventure, della spedizione Endurance, partita pochi giorni prima dell’inizio della prima guerra mondiale e terminata nel gennaio 1917.
Io avevo sentito parlare delle imprese di Amundsen e Scott, ma non conoscevo Ernest Shackleton.
Eppure ha detto un altro esploratore britannico, Raymond Priestley,
« Datemi Scott a capo di una spedizione scientifica, Amundsen per un raid rapido ed efficace, ma se siete nelle avversità e non intravedete via d’uscita inginocchiatevi e pregate Dio che vi mandi Shackleton .»
Capite il tipo?

La storia della spedizione Endurance è illustrata da William Grill con una non comune capacità di un’illustrazione meticolosa, dettagliata, ricca di particolari (quasi sconfinando nella catalogazione) ma nello stesso tempo suggestiva, evocativa direi “inghiottiva” e ” rapitiva”.
Sembra di sfogliare il diario di un membro dell’equipaggio (forse James Wordie il geologo o Frank Hurley il fotografo…) pieno di appunti, pensieri, disegni, schizzi.

Grandi sfide

Man mano che ci si addentra insieme all’Endurance tra i ghiacci della banchisa scopriamo il fascino terribile dell’immenso.  Ci sentiamo attirati irresistibilmente da una forza che ci spinge ad andare avanti con loro: Ernest Shackleton, Frank Wild, il capitano Worsley e gli altri 24 membri della spedizione. Lanciamo i cani in una corsa entusiasmante sulla banchisa: Blackie, Rugby, Bummer e Hackenschmidt e gli altri 95. Cantiamo l’inno nazionale mentre fuori soffiano raggelanti e violenti tempeste. Marciamo con loro decisi a non fermarci. Li sentiamo resistere, soffrire, lottare aggrappati ferocemente alla vita, legati indissolubilmente gli uni agli altri. Fuggiamo con loro dalle insidie del ghiaccioch e verso la terraferma. E corriamo con oro sulla riva e urliamo di gioia quando il Capitano Shackleton torna, dopo aver navigato per 1000 km sul mare più burrascoso che ci sia e attraversato, in sole 36 ore, le impenetrabili montagne ghiacciate della Georgia del sud!
Torna. E li salva tutti.

Beh, non so voi, ma non c’è multisala che tenga…

Il libro termina con una frase di Ernest Shackleton: «Tra la vita e la morte, ho scelto la vita, per me e i miei amici…Credo che sia nella nostra natura esplorare, ricercare ciò che è sconosciuto. Il vero fallimento sarebbe non esplorare affatto.»

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Padre

La tenerezza di un padre – Lo stralisco

Lo Stralisco Book Cover Lo Stralisco
Roberto Piumini
Einaudi Ragazzi

C’è un argomento che mi sta molto a cuore, come uomo un tutte le sue declinazioni (figlio, fratello, marito e padre) ed è la Tenerezza.

Credo che questa sia la chiave per diventare pienamente uomo (nel senso non solo di “essere umano” ma proprio di maschio) rifiutando e smascherando nello stesso tempo tutti gli stereotipi tipici di una società latina ed emotivamente analfabeta come la nostra che propone ancora uomini “machi”, anafettivi, potenti e vincenti, indifferenti se non addirittura sprezzanti della cultura, e che “tollera” ( e talvolta anche giustifica) prepotenza e violenza come “effetti collaterali”.

C’è un modo tutto maschile di vivere ed esprimere la tenerezza e lo troviamo in questo strafamoso classico per ragazzi (ma siamo sicuri che sia solo per ragazzi?)

Lo Stralisco di Roberto Piumini, Einaudi Ragazzi

Questa storia ci mostra la figura di un padre, Ganuan, che da un lato è un uomo di autorità e potere, signore della terra di Nactumal, e dall’altro è capace di un amore tenero, umile, rispettoso, delicato per il proprio figlio Madurer, gravemente ammalato di una malattia sconosciuta e incurabile.
Capace di un amore talmente grande da accettare anche di farsi da parte e di chiedere aiuto ad un altro uomo, il pittore Sakumat, altra splendida figura di uomo adulto.
Nel loro primo incontro Sakumat rivolge due domande a Ganuan riguardo a suo figlio, alla sua malattia e alla sua situazione. Ganuan non dà nessuna risposta a Sakumat  ma lo invita a vedere e decidere lui stesso, per non distorcere idee, impressioni, emozioni, portando il suo punto di vista e esprimendo i suoi sentimenti.

Ecco io vorrei essere un papà come Ganuan, vorrei essere un uomo come Sakumat.

A proposito ecco il passo del libro dove si conosce lo Stralisco:

Madurer, un giorno, cominciò ad aggiungere delle spighe sottili, dorate, che spiccavano nell’erba e spingevano, però non troppo, la loro cima nell’azzurro del cielo.

 – Non è grano? Però sembra grano: un grano sottile …
– Sì, è simile al grano. Ma sono spighe di stralisco.
-Stralisco? E’ una pianta che non conosco,

Nessuno lo conosce, – disse Madurer, – é una specie di pianta luminosa.
– Luminosa?
– Sì. Splende nelle notti serene. E’ una specie di pianta-lucciola, capisci? Noi adesso non la vediamo splendere, perché è giorno. Ma di notte illumina il prato.”

Ma sarà nello struggente dialogo finale tra padre e figlio che se si scoprirà cos’è veramente lo Stralisco …

… non so perché, ma a me è venuta in mente la rosa del piccolo principe …

Buona festa del papà.

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Terra

Quante immagini della Terra esistono?

Il Libro delle Terre immaginate Book Cover Il Libro delle Terre immaginate
Guillaume Duprat
L'ippocampo

Ecco un libro dalla Forza Gravitazionale irresistibile. Direi Forza Attrazionale. Qualcosa del tipo:
Fa = GL x(Cx C)/d2
dove Fa = forza attrazionale, CL = Contenuto Libro, C= Curiosità e d= distanza, mentre GL è la costante GenitoriLettori  ed è caratteristica del singolo Genitore.

Il Libro è:
Il Libro delle Terre immaginate di Guillaume Duprat, L’Ippocampo.

Inizialmente, mentre scivolavo come un asteroide lungo lo scaffale, sono entrato nella sua orbita, ma con una traiettoria a spirale che, dopo alcune Rivoluzioni, mi ha portato ad avvicinarmi sempre più e a  “cadere” sul libro (credo per un crescere continuo del fattore C).
Beh, ‘impatto ha rilasciato una quantità enorme di energia positiva (5000 MegaTomi …) e ha lasciato un segno permanente sulla mia superficie emotiva a forma di cratere naturalmente …
Sì perché questo è uno di quei libri che ti permettono di muoverti in svariate direzioni e magari di percorrerle insieme.
E’ possibile parlare delle diverse culture umane e dei loro miti.
Oppure della scienza antica di Babilonesi, Egizi, Greci ma anche Maya e Cinesi.
Approfondire l’epoca delle spedizioni scientifiche e delle scoperte scientifiche.
Oppure entrare nell’affascinante mondo della cartografia e delle mappe illustrate, alcune veri e propri capolavori che uniscono con arte verità scientifica e immaginazione.

Pagina dopo pagina si viene catturati dalla varietà e originalità delle immagini della Terra che l’uomo, nei secoli e nelle diverse culture, ha creato.

Immagini della Tera che parlano innanzitutto di noi, delle nostre credenze, delle nostre paure, dei nostri sogni.

Immagini della Terra che sono una risposta al nostro bisogno di senso e alla nostra ricerca di un posto nell’esistenza.

Come vediamo il mondo in fondo dipende da dove e quando lo vediamo. Basterebbe ora, 10 am del 2 marzo 2015, poter confrontare la visione della Terra che ha un Eschimese, un Etiope, un Greco, un Messicano. Certo per tutti (forse) è tonda e un po’ schiacciata ai poli ma quanto è diversa.

Ora ci sembra di sapere tutto sulla forma della Terra e sulla sua composizione ma stiamo vivendo una nuova avventura alla scoperta del’immagine del’Universo …già perché è curvo o piatto?

leggete un po’ qua: http://www.lescienze.it/news/2013/09/28/news/piatta_sella_geometria_universo-1825218/

 

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Roma

La nascita di Roma

La nascita di Roma Book Cover La nascita di Roma
Laura Orvieto
Giunti Junior

753 a.c.
Penso che possa essere considerata come la seconda data più famosa della storia.
La fondazione di Roma.
Gli storici dicono che la data esatta dovrebbe essere il 21 aprile del 753 a.c.

E’ una grande storia che affonda le radici nel poema omerico dell’Iliade ( e qui vi rimando ad un altro bellissimo libro di Laura Orvieto “Storie della storia del mondo” ) passa attraverso la leggenda della fondazione di Lavinium e Albalonga e dei re Latini per poi iniziare con il famosissimo racconto della Lupa che allatta i due gemelli (c’era anche un picchio per la verità).
Come in tutte le saghe che si rispettino anche qui non manca nulla: tranelli, invidie e gelosie; avventure, battaglie e duelli; prepotenze e riscosse; oppressione e schiavitù e riscatto e libertà.
Ma sopratutto c’è il sogno e la visione di un uomo, capace di contagiare e motivare chi gli era intorno. Capace di attirare a sé altri popoli e fonderli, renderli fratelli e partecipi dello stesso sogno. A pensarci bene sembra il racconto di una start-up di successo mondiale: mito del fondatore (alla Steve Jobs) , visione, innovazione, capacità di coinvolgere e motivare, capitale umano, acquisizioni di altre aziende, competizione, successi ed insuccessi e così via. E difatti Roma cresce si sviluppa e si impone come modello vincente, arrivando a conquistare il mondo. Si potrebbe benissimo fare un post di quelli che oggi vanno per la maggiore tipo: i 5 elementi di una start-up vincente o le 7 cose da fare per avviare un’azienda di successo e cose del genere.

C’è una bellissima vicenda che vorrei farvi conoscere. Dopo avere fatto rapire donne dai popoli confinanti, tra cui donne sabine (il famoso ratto delle Sabine), Romolo si trovò a dover affrontare i Sabini arrabbiati e offesi. Lo scontro fu scongiurato proprio dalle donne sabine rapite, capeggiate da Ersilia, andata in sposa proprio di Romolo, che con i figli in braccio si frapposero tra mariti da una parte e padri e fratelli dall’altra, convincendoli a rappacificarsi.

Ratto delle Sabine

Vicenda che richiama alla mente quella di Lisistrata e dello “sciopero del letto ” donne ateniesi e ci ricorda quanto le donne possano fare per cambiare una società ancora troppo maschilista e “machista”.
Insomma leggendo questo libro, semplice e lineare nel suo linguaggio, si ha la percezione di provenire da una grande e lunghissima storia e Dio solo sa quanto ne abbiamo bisogno oggi.
Nel libro le vicende della fondazione di Roma si intrecciano con quelle di altri due fratelli, Servio e Plistino, fuggiti alla schiavitù e diventati uomini liberi dopo aver raggiunto il Luogo Sacro del Nume Asileo (questa una delle intuizioni di Romolo) da cui credo derivi l’espressione “dare asilo”. Attraverso le loro vicissitudini Laura Orvieto ci svela anche la quotidianità della vita di quei tempi.

Laura Orvieto ci insegna un’altra cosa e cioè quanto possa essere potente e direi, anche se può sembrare strano, innovativa una didattica basata sul narrare storie.

 

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Riconoscersi

Riconoscersi di nuovo – L’orso che non c’era

L'orso che non c'era Book Cover L'orso che non c'era
Oren Lavie e Wolf Erlbruch
edizioni e/o

La figura dell’orso, più di quella di ogni altro animale, è utilizzata dagli uomini per raccontare miti e leggende e storie. Se ci guardiamo intorno, tra libri (troppo lungo qui elencare anche solo quelli usciti nel 2014), cartoni animati (guardavate Yoghi e Bubu o Napo orso Capo?), film (come quello indimenticabile di Jean Jaques Annaud, ma anche il recentissimo Paddington) e pupazzi di peluche siamo letteralmente circondati da una moltitudine di orsi.

Come mai? Cosa ci troviamo nell’orso? Cosa ci comunica? Cosa riconosciamo in lui e tramandiamo da secoli? Googleando (o googlando?) per la rete ho trovato un bell’articolo del professor Franco Cardini (http://www.centrostudilaruna.it/simbolismodellorso.html) che tratta del simbolismo dell’orso.
Leggendo scopro che la simbologia dell’orso, nata tra i popoli nordici, è passata alla cultura greca. Famoso il mito di Callisto, trasformata prima da Artemide in un’orsa e poi da Zeus nella costellazione dell’orsa maggiore…

mito di donne, dee, orse e stelle…

(per inciso suo padre Licaone fu trasformato da Zeus in Lupo).
Dai greci è arrivata poi fino a nostri giorni, sfiorando la Bibbia e alcune leggende cristiane medievali.

Mentre scrivo mi torna in mente che qualche mese fa ho letto con il mio Francesco un classico della letteratura italiana del ‘900 come “L’invasione degli orsi in Sicilia” di Buzzati, i cui non c’è iù differenza tra uomini ed orsi.
Rimane indubbiamente interessante come questa figura, simpatica e feroce, familiare e primitiva continui ad esercitare una forte attrazione e si presti benissimo a sostituire l’essere umano nei racconti per bambini e ragazzi.

Tra i molti libri, con orsi come protagonisti, che ho acquistato negli ultimi 12 mesi, last but not least c’è questo:
“L’orso che non c’era” di Oren Lavie e Wolf Erlbruch, edizioni e/o

La storia è già particolare fin dall’inizio. Infatti racconta di un orso che nasce … da un prurito! In prurito che aveva bisogno di una grattatina.
Il prurito trova qualcosa di concreto cui appoggiarsi, un albero, e, mentre si gratta contro la sua corteccia, cresce e finché “…dove prima non c’era nessun orso, fece la sua comparsa un Orso che Non C’era!“.
E’ quello che capita anche noi, a pensarci bene, quando  nuovi “pruriti” , desideri, sogni, trovano un appiglio e iniziano a prendere forma a crescere, “incarnarsi”, e generano qualcosa di nuovo.
Dopo un sorriso di compiacimento (ma com’è reso bene da quel tratto rosso), la prima domanda che l’Orso che Non C’era si pone è: “Sono forse il primo o sono l’ultimo?”.
Già. Ciò che io sono ora, è per la prima volta ciò che sono veramente, o è solo l’ultimo di una serie di cambiamenti?  E’ l’ultimo nel senso del più recente oppure ce ne saranno ancora?

E’ il desiderio di ogni cammino di ricerca: scoprire chi siamo veramente. Cercare l’autentico sé.
Quando compare un nuovo “noi”, accanto alla sorpresa della novità sentiamo che questo cambiamento non ha cancellato ciò che siamo stati. Non è un punto zero. C’è un prima.

Cambiamo continuando a rimanere noi stessi (vecchio motto che non smette di accompagnarci nei nostri cammini di ricerca, fin dai primi frammenti dei filosofi presocratici)
Infatti l’Orso che Non C’era scopre di “avere una tasca” e, pescando dentro di sé, trova un pezzo di carta ripiegato con scritto: “Tu sei me?”.
La domanda delle domande. Qui formulata come se noi guardassimo questo nuovo noi stessi, come un essere separato, altro da noi:

Tu sei me?

Già … questo nuovo me stesso che compare davanti a me, sono sempre io? Come faccio a saperlo?
L’Orso che Non C’era, continuando a leggere il biglietto, scopre tre indizi, tre punti fermi che lo identificano.
Pesca dentro di sé, nel suo passato, ciò che permane, in ogni cambiamento: la sua identità.

Il desiderio di sapere se “lui è ciò che i tre indizi gli indicano” lo mette in cammino. Deve sapere.
E così l’Orso che Non C’è inizia un viaggio nella Fantastica Foresta alla ricerca dei tre indizi.
Sarà nell’incontro con l’Altro, nella storia sono altri animali che incontra nella foresta, che scoprirà la verità sui tre indizi. E’ solo nella relazione con l’altro che noi scopriamo la verità su noi stessi. Non c’è altra strada. Possiamo allenarci alle più sofisticate tecniche di meditazione, pensiero, analisi. Ma se stiamo da soli, se non viviamo incontri e relazioni, non scopriremo chi siamo.

Al termine di questo cammino nella Foresta Fantastica l’Orso che Non C’era ritrova la sua casa. Entra, si guarda allo specchio e sorridde.
Si ri-conosce.
E si vede ancora più bello di prima.

Non siamo noi a decidere di cambiare. La vita ci cambia continuamente.
Noi possiamo però porci delle domande e lasciarci portare da queste, metterci in cammino, alla ricerca di noi stessi.

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